È il 21 settembre 1999 e Raissa, a 67 anni, muore. Alla fine è stata la leucemia a strappare all’ultimo segretario del Partito comunista sovietico Michail Gorbaciov, a uno dei più grandi protagonisti del Novecento e della fine della Guerra fredda, l’amatissima moglie.
Sono stati inseparabili, indivisibili per quarantasei anni, “una cosa sola” -come amava ripetere il politico dall’iconica chiazza rossa sulla tesa, il premio Nobel per la Pace del 1990- “…perché avevamo solo noi stessi“.
Raissa Maksimova Titorenko è una delle studentesse più brave del suo corso di Filosofia. Questa diligentissima figlia di una famiglia moto modesta di contadini dell’Altai, in Siberia Occidentale, studia grazie a una borsa di studio. Il padre l’ha voluta chiamare così da Raj, Paradiso e lei, la minuta Rajechka, cercherà sempre di tutelare l’ambiente, come ha ha confermato in “Io spero”, la sua autobiografia.
“Io porto sempre con me il profumo del ciliegio e l’amore degli aghi di pino. La gioia di ascoltare il suono dei torrenti negli Urali in primavera…Una gioia grandissima.(…) La bellezza del muschio color smeraldo e i ricami colorati su di esso, i fiori di rovo, i mirtilli, le aquilegie.
Tutto appartiene a quel tempo della mia infanzia. Ed è dalla mia infanzia che scaturisce la nostalgia per la betulla argentea, per il campo di segale o di grano contornato dai fiordalisi e dalla camomilla, che vive eternamente in ogni cuore russo. Sono convinta che il maltrattamento, l’impoverimento del mondo della natura immiseriscano l’anima dell’uomo.”
Michail Sergeevic Gorbaciov, invece, arriva dalle nerissime campagne del Sud di Privolnoie e sta per laurearsi in giurisprudenza con l’intento di diventare un funzionario di partito. Si conoscono durante un ballo studentesco e si innamorano immediatamente. Entrambi appassionati di musica classica e melodica, di poesie e dei loro appuntamenti nella biblioteca Lenin o al cinema Rusakov.
Nel gelido inverno moscovita nessuno dei due innamorati ha soldi sufficienti per comprarsi un cappotto pesante. Nonostante l’indigenza, decidono di sposarsi nel ’53, l’anno della morte di Stalin. Raissa, con le scarpe prestate da un’amica, ha 19 anni, il futuro padre della Perestrojka tre di più. Entrambi non possono permettersi neppure delle semplici fedine di ferro.
Quando lo Stato offre al giovane Michail un posto di procuratore distrettuale da appena cento rubli al mese, la coppia si trasferisce a Stavropl, nel Caucaso, in una piccola stanza d’affitto composta da un letto, un tavolo, due sedie e due casse piene di libri. I primi tempi riescono ad andare avanti grazie ai genitori di lui che mandano settimanalmente agli sposini un pacco di generi alimentari dalla campagna.
Anche quando si trasferiscono in una casa a pianerottolo con due camere in più e la cucina in comune e i bagni con altre otto famiglia sovietiche dell’appartamento governativo, i soldi sembreranno non bastare mai. Eppure neanche durante questi anni di sacrifici e difficoltà i Gorbaciov si lasceranno la mano. Con l’arrivo della piccola Irina, poi, il loro legame diventa definitivamente d’acciaio.
Quando qualche anno più tardi la figlia divorzierà da suo marito dichiarerà come il suo fosse stato un matrimonio come quello di tanti altri, troppo lontano dall’ideale esempio d’amore offerto dai suoi genitori.
Nel ’78 i Gorbaciov tornano a Mosca per incominciare finalmente la loro brillante carriera, lui incaricato da Breznev come responsabile delle politiche agricole, lei come professoressa universitaria di marxismo-leninismo. Quando nel 1985 Michail viene eletto segretario generale del partito comunista sovietico la storia dei due coniugi inizia a fondersi con la Storia, della politica interna della Perestojka e del Glasnost e di quella estera di scontri e distensione con gli altri Stati del mondo.
Durante i viaggi del Presidente, Raissa è sempre presente. La prima first lady che non rimarrà nell’ombra, ironica, coltissima e subito iconica per i tailleur ben proporzionati e quel sorriso dolce. Non hanno paura di farsi fotografare mano nella mano, fiduciosi e sempre fedeli l’una dell’altro.
Nel dicembre del 1991 con la detronizzazione dal Cremlino per mano di Elsin, i due ritornano a condurre una vita appartata, fatta di impegni internazionali, viaggi e scrittura di saggi. L’inseparabile coppia verrà addirittura ospitata al Festival di Sanremo per lanciare un messaggio di pace e amore fraterno.
Quando Raissa si ammala improvvisamente, Gorbaciov è annichilito. Dichiara “Devo sperare in qualunque cosa: in noi stessi, nei medici, se serve anche in Dio.”
Investono tutti i loro soldi per raggiungere il miglior centro per la cura delle leucemie, a Münster (Germania), ma per Raissa è oramai troppo tardi e muore. “Quando guarirò -sussurra al marito- troviamoci una piccola casa da qualche parte, vicino al mare, dove ci sia tanto sole, per goderci questi ultimi nostri anni.”
Michail si sente perduto. La farà tumulare “là dove un giorno a diritto riposerò anche io.”
A dieci anni dalla sua morte, Gorbaciov indice un disco in cui canta alcune delle canzoni preferite dall’amatissima moglie chiamato “Canzoni per Raissa”. Lo fa per onorare l’ultimo desiderio di lei, quello di rimanere esattamente com’era da giovane quando era entrato nella sua vita “virile, risoluto, energico e gentile. Che alla fine possa cantare di nuovo le sue canzoni preferite, che possa leggere le poesie che ama e che possa ridere, del suo sorriso aperto e sincero, come ha sempre fatto.”
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