L’attuale emergenza sanitaria sta riportando al centro del dibattito pubblico il tema dell’intolleranza verso gli anziani. L’espressione “ageismo” indica, infatti, la sempre più crescente discriminazione nei confronti delle fetta più esposta al COVID-19 nel nostro Paese, quello della terza età.
Rispetto al razzismo e al sessismo, l’ageismo è ancora relativamente tollerato, visto che non esistono leggi che vi si oppongono.
Secondo una recente ricerca britannica, le motivazioni dei comportamenti discriminatori nei confronti degli anziani hanno un’origine psicologica. L’ostilità verso la vecchiaia deriverebbe dalla paura di un progressivo peggioramento e di un declino che si tende a spostare sempre su qualcuno “più vecchio di noi”.
Questa rappresentazione continua a caratterizzare la nostra società dei consumi basata sulla falsata idea di un’eterna giovinezza.
L’ageismo veicola pregiudizi e stereotipi che danno vita a delle vere e proprie discriminazioni non solo personali ma anche istituzionali. Di questo ne è ben consapevole, ad esempio, chi si è trovato a dover cercare lavoro dopo i 45 anni o quei telespettatori dai capelli bianchi che, durante questi mesi, quando il numero delle vittime per Coronavirus saliva inesorabilmente colpendo proprio la fascia degli Over 60, hanno dovuto ascoltare i commenti di chi ritiene che queste morti alla fine un costo accettabile.
I livelli di discriminazione percepita risultano essere più alti nelle donne che negli uomini. Le signore sono maggiormente esposte alle derisioni, svalutazioni o aggressioni fisiche e verbali legate alla propria età. Questi episodi possono incidere, ovviamente, sul loro benessere psicologico e sulla propria autopercezione.
Per queste ragioni le discriminazioni legate all’età porta sempre più spesso gli over 60, additati di essere persone fragili, non più adeguati ai ritmi della società e costantemente bisognosi di tutele non richieste e costose cure, di soffrire a lungo andare di stress, perdita della memoria e malattie cardiovascolari e circolatorie. Secondo il 16° Rapporto di Osservasalute (2018), la gestione di queste malattie incide per circa l’80% sul totale dei costi del Servizio Sanitario Nazionale. Un numero destinato a crescere, secondo le analisi statistiche sul prossimo futuro: già nel 2028 il numero di malati cronici è destinato a superare i 25 milioni di persone.
Ogni anno il 1° ottobre si celebra la Giornata Internazionale degli anziani, istituita dall’ONU nel 1990. In occasione di questa giornata, lo scorso anno l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha lanciato un pacchetto di strumenti per aiutare gli operatori sanitari a fornire una migliore assistenza alle persone anziane. Un esempio è l’app “Who Icope Handbook” che fornisce una guida pratica per affrontare alcune condizioni tra cui le limitazioni della mobilità, la malnutrizione, la perdita della vista, il declino cognitivo e i sintemi depressivi.
La app, insomma, oltre a offrire suggerimenti sui compiti di assistenza e supporto sociale, è utile anche per la formazione di assistenti sanitari sull’affrontare diverse emergenze sanitarie. Questo progetto si inserisce negli obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2030, il programma sottoscritto dai governi di 130 Paesi membri dell’ONU che ritengono che uno sviluppo mondiale si possa realizzare solamente con l’inclusione.
Contro questa discriminazione sull’età, è stata promossa una campagna di sensibilizzazione, alla quale hanno aderito 42 organizzazioni di 29 paesi, tra i quali l’Italia, la #OldLivesMatter. Una iniziativa che vuole ricordare il valore dell’articolo 25 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ovvero riconoscere e tutelare il diritto degli anziani a una vita dignitosa, autonoma…e amorevole.
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