Il babywearing, ovvero dell’arte di portare i bambini a contatto con il proprio corpo avviluppati in una fascia, è una pratica che negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo. Alla comodità di trasportare vostro figlio in totale sicurezza, permettendovi lo svolgimento in modo agevole di tutte le attività quotidiane, si legherà anche l’occasione di riacquistare un contatto autentico con lui, nel modo più naturale e caloroso possibile.
In realtà il babywearing è un comportamento presente già in Natura, non a caso i mammiferi si prendono cura del proprio cucciolo “portandoselo addosso”. Questa abitudine biologica è quindi anche tipica di noi esseri umani, attuata sin dai tempi del Paleolitico.
La moda contemporanea del babywearing inizia in Germania nel 1972 quando una mamma come tante, Erika Hoffmann, dopo aver partorito due gemelle, tira fuori dal suo cassetto un Rebozo, un telo messicano preso durante un suo viaggio, e lo usa per coccolare a turno una delle due gemelle.
Da lì un giornalista la nota, la intervista e la fotografa e molte mamme vedendo Erika sul giornale, incominciano a imitarla, incentivate all’acquisto delle fasce di babywearing da una delle prime ditte produttrici del prodotto, la Didymos.
Dopo l’invenzione del primo supporto occidentale, una decina di anni dopo, nel 1981, il neopapà e inventore hawaiano Ryaner Garner, ispirato da un libro di Jean Leidloff, progetta una fascia lunga di supporto ad anelli (Tragetuch) destinata immediatamente a spopolare tra le celebrità col come di “ring sling”.
Che si utilizzino fasce alla messicana, all’hawaiana, elastiche o i nuovi marsupi ergonomici, la pratica del babywearing aiuterà i genitori a portare ovunque il proprio bambino senza l’ingombro (e i costi!) del passeggino, oggetto che magari rende complicato salire le scale o avere le mani libere per fare altro.
Come evidenziato da numerosi studi scientifici nell’ambito dell’etologia, il babywearing reca benefici sia ai bambini che ai genitori. Il contatto, il contenimento e l’accudimento portano con sé, infatti, sia da un punto di vista neuro-evolutivo che di maturazione cerebrale, uno sviluppo più armonico nel bambino.
La vicinanza con il corpo del genitore, il calore, il suono del battito del cuore della mamma o del papà permetterà al piccolo di cogliere al meglio tutti gli stimoli della sua nuova quotidianità.
Quando poi si sentirà stanco di tutti questi stimoli acquisiti, non dovrà fare altro che chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno più dolce che ci sia. Il babywearing, perciò, come un vero e proprio “utero di transizione”, permette di rispondere al bisogno d’amore del neonato, sviluppando l’empatia e facendo sì che si senta accettato e sicuro.
Il babywearing stimolerà nella mamma maggiore produzione del latte e aiuterà il piccolo a combattere, per la sua posizione verticale pancia contro pancia, le coliche e la cattiva posizione assunta dalle gambe, soprattutto se affetto da displasia lieve dell’anca.
Questo particolare strumento d’amore può avere un peso anche sugli aspetti “abilitativi” dei neogenitori nel caso in cui abbiano delle problematiche di natura ortopedica (plagiocefalie, torcicolli, displasie, piede torto, etc.).
Vi consigliamo di visitare il sito della scuola di “Babywearing Italia” qui che forma consulenti e babywearing supporter e che in particolar modo negli ultimi anni ha sviluppato un ottimo programma terapeutico per l’utilizzo di legature speciali con bambini dai bisogni specifici (handicap, autismo, sindrome di down).
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