Numerosi album musicali sono stati pensati, arrangiati e registrati durante un periodo di isolamento. Uno dei più importanti è sicuramente la raccolta di canzoni folk “Nebraska” di Bruce Springsteen. È il 1982 e Springsteen è insonne.
Il caldo è appiccicoso e le strade sono deserte, salvo per alcuni tir che gemono come dinosauri sotto la cappa polverosa di South Street, in New Jersey.
Nonostante il successone del doppio album precedente, The River, il musicista è preda di una abissale malinconia e soprattutto frustrato per la quantità di soldi investiti nelle registrazioni in studio e per la sua ultima delusione d’amore.
Decide allora di staccare il telefono dal muro di casa e non aprire la porta ad anima viva. A fargli compagnia ci sono un frigorifero pieno di birre e una Tascam 144 giapponese a quattro piste.
Ed è proprio durante questa autoreclusione che, cantando e suonando da solo, incide inaspettatamente dieci tracce. Le mixa poi alla fine con un’unità Echoplex per chitarra su un vecchio stereo da mille dollari. I fantasmi di Nebraska provengono dai rimbombi della strada dove Springsteen è cresciuto, dalla sua famiglia, dai racconti gotici di Flannery O’Connor e dai romanzi noir di James M.Cain. Dalla sobria violenza dei film di Terrence Malick e dalla favola nera della “Morte corre sul fiume” di Charles Laughton.
L’album “Nebraska” scaturisce dai tenebrosi racconti della buonanotte e dal disagio della solitudine che decide di brindare coi propri demoni tanto da riuscire a toccare quella tensione «scaturita dalla sottile linea fra la stabilità e il momento in cui ciò che ti lega al lavoro, alla famiglia, agli amici, all’amore e alla grazie che porti nel cuore, viene meno.»
Le canzoni sono state registrate con una tonalità abbassata rispetto al suono originale abituale. Questo incidente felice ha perciò reso Nebraska uno degli album più intensi della musica contemporanea.
Nebraska è il racconto della fine del sogno americano e della possibilità di un riscatto. Un richiamo alle terre promesse e perdute come in Bob Dylan o Hank Williams. Una magistrale narrazione sulla fragilità dell’esistenza, la perdizione e il rimpianto.
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Valentina Miura